“Avevo tre anni”, racconta Idanna Pucci, scrittrice a antropologa, “quando una zingara mi apri il pugno per annunciarmi che anch’io, come mia madre, sarei andata molto lontano. Eravamo a Brazzà, in Friuli, dove sono nata. Ogni settembre, puntuali, dalla Romania e dall’Ungheria arrivavano le carovane degli zingari. La mamma, quando uscivamo dal cancello per imboccare il viottolo del cimiterino di Santa Margherita, si lasciava dire la sorte. Una zingara volle dirla anche a me”. Avvennero poi tante cose, la predizione fu dimenticata. La mamma, è vero, partì poi per l’Africa. E le parole della zingara aiutarono la bambina ad accettarne la scomparsa: l’aveva scritto in palmo di mano, si può forse qualcosa contro il destino?

L’infanzia di Idanna trascorse nel palazzo che dà il nome a una via di Firenze, là dove i Pucci vivono da più di cinque secoli. E lì, in quelle solide mura, Idanna sentì parlare di una terra ancora più lontana di quella raggiunta da sua madre. Lo zio Emilio, il famoso stilista, tornò da Bali con la valigia piena zeppa di disegni. ldanna ne restò affascinata, l’isola indonesiana entrò nelle sue fantasie. Finché, sposatasi giovanissima con lo scrittore francese Hugues de Montalembert, non diversamente  da  tanti  giovani dell’epoca partì per l’Oriente. “Eravamo pochissimi stranieri: tutti studenti oppure studiosi. Una meraviglia. Nessuno era li per sfruttare, fare business. Ora è tutto diverso”. Idanna e Hugues impararono la lingua. Poi Hugues partì per girare un film in Africa – di nuovo l’Africa! – mentre Idanna si fermò.

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