Nell’agosto del 1989, alcuni mesi prima dello storico referendum che mise fine alla dittatura militare in Cile durata sedici anni, intrapresi il lungo viaggio al ‘sud del mondo’ per andare a conoscere Eugenia Pirzio Biroli, l’unica cugina di mia madre.

Mia “zia” aveva quasi novantanni e viveva da sola in Patagonia, dove conduceva una vita fuori dal comune.  Dal 1947, e cioè da quando aveva lasciato l’Italia dal porto di Genova su di un’immensa nave diretta a Valpairaiso, era tornata  solo una volta e molto brevemente.

Le scarse informazioni non avevano fatto altro che aumentare la mia curiosità, non tanto in qualità di nipote, ma per l’idea che mi ero creata di questa donna, da anni sindaco di un comune lontano da tutto e da tutti, grande quasi come il Piemonte, la Lombardia ed il Trentino Alto Adige messi insieme.  Volevo conoscere Eugenia prima che fosse troppo tardi.    Sentivo il bisogno di ascoltare quello che lei aveva da dire sulla vita. Pensavo vagamente anche ad una sua biografia, insomma a qualcosa che potesse rendere omaggio a tutti coloro che seguono la propria vocazione, sopratutto se questa porta in mondi sconosciuti.

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